29 Aprile 2008
SCIOPERO DEL PROSCIUTTO IN DIFESA DEL MADE IN ITALY

Coldiretti Piemonte aveva portato le proteste del comparto direttamente in piazza con una grande
manifestazione già nei mesi scorsi, al grido di “Non fate i salami, salviamo la suinicoltura italiana”.
Oggi, le difficoltà aumentano e gli allevatori hanno deciso di attuare lo sciopero del prosciutto di fronte all’impossibilità di far crescere maiali di qualità che vengono pagati appena 1,07 euro al chilo, ben al di sotto dei costi di produzione.
Gli allevatori hanno infatti annunciato che non verranno più consegnate assieme ai maiali le certificazioni di qualità che consentono la commercializzazione del prosciutto a marchio d’origine. Una azione che rischia di provocare la scomparsa di prosciutto certificato Made in Italy dalle tavole degli italiani. Nel 2007, grazie al lavoro di 4.987 allevamenti italiani, sono stati prodotti in Italia oltre 9,5 milioni di prosciutti di Parma Dop per i quali gli italiani hanno speso 1,3 miliardi di Euro mentre il giro di affari ha raggiunto i 400 milioni di Euro all’estero, dove si è verificato un aumento record delle vendite in quantità con un incremento del 9 per cento. Nel biennio 2005-2007 secondo il Consorzio le vendite hanno registrato una crescita in volume pari al 5,1 per cento con il prezzo medio al consumo del Prosciutto di Parma che è stato pari a circa 24,34 euro/kg. Nonostante questo, il compenso riconosciuto agli allevatori è sceso a 1,07 euro al chilo mentre sono drasticamente aumentate le spese per l’alimentazione degli animali con un balzo fino al 40 per cento dei costi di cereali e oleaginose ai quali si sono aggiunti rincari anche nelle spese energetiche e la necessità di investimenti nelle strutture e nei mezzi aziendali per ottemperare agli obblighi comunitari. Nella forbice tra prezzi alla produzione e al consumo c’è un sufficiente margine per garantire una adeguata remunerazione agli allevatori e non aggravare i bilanci delle famiglie, ma occorre lavorare sulla trasparenza dei prezzi e della informazione ai consumatori.
In Italia sono arrivati in un anno quasi 60 milioni di cosce fresche di maiale dall’estero per essere stagionate e divenire prosciutto in Italia, dove rischiano di essere spacciate come Made in Italy e per questo è necessario estendere immediatamente alla carne di maiale e ai suoi derivati l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta, che al momento vale solo per i prodotti della salumeria a denominazione di origine. Negli scaffali dei negozi italiani, infatti, ben due prosciutti su tre provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania, Spagna senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta e con l’uso di indicazioni fuorvianti come “di montagna” e “nostrano” che ingannano il consumatore sulla reale origine. Questa nuova forma di protesta, lo sciopero del prosciutto, è pertanto tesa a tutelare il sistema delle produzioni suinicole italiane di qualità e non certo a danneggiarle.
Ecco le linee operative dell’iniziativa: Tutti i suinicoltori aderenti al sistema di controllo per le produzioni DOP sono invitati da subito a consegnare all’APA nel cui territorio ricade l’allevamento i certificati nuovi in loro possesso (CUC e CI), trattenendo solo i certificati necessari per le consegne ancora da effettuare nel mese di aprile. L’APA ritirerà i certificati rilasciando all’allevatore una ricevuta compilata secondo il fac-simile allegato 1, della quale tratterrà una copia. Entro le ore 11:00 del 28 aprile p.v. ciascuna APA avrà cura di trasmettere all’APA di Reggio Emilia il numero di suinicoltori che avranno consegnato i certificati con il totale delle loro produzioni annuali di suinetti e di suini grassi (fax 0522 271393; direzione@apa.re.it). La protesta ha lo scopo di denunciare l’impossibilità a proseguire la produzione di suini pesanti stante un prezzo di mercato che non li differenzia dal prodotto leggero da macelleria. Pertanto si tratta di una protesta tesa a salvare il sistema delle produzioni suinicole italiane di qualità e non certo a danneggiarlo.
Inoltre, la protesta non è rivolta contro i macelli che, pur essendo la diretta controparte commerciale degli allevatori, dipendono da loro e soffrono anch’essi di scarso potere commerciale: piuttosto la protesta è rivolta contro i segmenti più a valle della filiera ed in particolare contro la Grande Distribuzione Organizzata.

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